Rivoluzione nei pagamenti alla PA: lo split payment

Dopo l’obbligo di fatturazione elettronica alla pubblica amministrazione, introdotto per ridurre i costi di gestione delle fatture di acquisto e migliorare il monitoraggio della finanza pubblica, il legislatore inserisce nel nostro ordinamento tributario, con la legge 190/2014 (legge di stabilità 2015), un particolare meccanismo di assolvimento dell’IVA per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate verso soggetti pubblici, denominato “scissione dei pagamenti” e già meglio conosciuto con la sua traduzione inglese split payment.
Come anticipato nel comunicato del MEF dello scorso 9 gennaio e confermato dal successivo D.M. 23 gennaio 2015, il meccanismo dello split payment, seppur ancora in attesa di autorizzazione da parte del Consiglio dell’Unione Europea, si applica alle operazioni fatturate a partire dal primo gennaio 2015.
I soggetti IVA che effettuano cessioni di beni e prestazioni di servizi verso le PA, di seguito analiticamente indicate, non ricevono più, in sede di pagamento, l’importo corrispondente all’IVA addebitata in fattura. L’imposta, infatti, viene versata all’Erario direttamente dal cliente soggetto pubblico.
Tale meccanismo viene formalizzato mediante la seguente indicazione che le fatture emesse nei confronti delle PA (sempre in formato XML e con esposizione di imponibile e IVA) dovranno contenere: “scissione dei pagamenti ai sensi dell’articolo 17-ter del DPR 633/72“.
Il fornitore della PA, in sede di liquidazione periodica, dovrà annotare la fattura emessa nei registri mediante apposita causale, al fine di evitare che l’IVA addebitata in fattura entri nella stessa liquidazione di periodo.
A livello contabile, poi, la fattura dovrà essere registrata comprendendovi l’IVA presente. Il valore dell’imposta, tuttavia, dovrà essere rilevato in un apposito conto di “IVA a debito” (ad esempio “Erario IVA da split payment”) e, di seguito, azzerato stornandovi l’importo corrispondente del credito verso il cliente PA non incassato (corrispondente alla stessa IVA).
La nuova disposizione si applica quando la cessione di beni o la prestazione di servizi è effettuata verso i seguenti Enti, ancorché non soggetti passivi IVA:

– Stato;

– Organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica;

– Enti pubblici territoriali e dei consorzi tra essi, costituiti ai sensi dell’articolo 31 del D.Lgs. n. 267/2000;

– Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura;

– Istituti universitari;

– Aziende sanitarie locali, enti ospedalieri, enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico;

– Enti pubblici di assistenza e beneficenza e quelli di previdenza.

Con la circolare n. 1/E del 9 febbraio 2015, l’Agenzia dell’Entrate, oltre a precisare i criteri d’inclusione o meno delle PA nell’ambito applicativo della norma e a escludere espressamente alcune di esse (ad esempio, INAIL e Agenzie fiscali), ha sottolineato che l’individuazione dei destinatari deve essere fatta ricorrendo ad “un’interpretazione del dettato normativo della disposizione in base a valutazioni sostanziali di ordine più generale”. Si lascia pertanto intendere che il contribuente sarà chiamato ad un’interpretazione della qualifica dell’acquirente PA per ricondurlo alle categorie previste dalla norma.

Lo “split paymentnon dovrà, invece, essere applicato, operando quindi l’ordinario sistema di liquidazione dell’IVA:

– qualora il prestatore effettui servizi soggetti a ritenuta fiscale. (ad esempio le prestazioni professionali di medici, architetti – ingegneri, avvocati, ecc.);

– qualora per l’operazione si applichi il meccanismo del reverse charge, in presenza di Ente pubblico soggetto passivo IVA (siamo pertanto nella cd. “sfera commerciale” dell’Ente, diversa e separata dalla cd. “sfera istituzionale”).

Pur nel silenzio della norma, si ritiene di poter escludere anche le operazioni assoggettate a speciali regimi IVA che non comportano l’esposizione dell’imposta, quali, ad esempio, il cd. “regime del margine” oppure i “regimi monofase ex art. 74, D.P.R. n. 633/1972” (editoria, ecc.).
Alla luce di quanto detto, è facilmente intuibile che l’impatto maggiormente critico del nuovo meccanismo sarà sicuramente, almeno nel breve periodo, quello finanziario.
Ad aggravare, infatti, la situazione di perdurante ritardo nella riscossione dei crediti vantati nei confronti della PA, da quest’anno le imprese fornitrici riceveranno incassi al netto dell’IVA mentre, a monte, continueranno a pagare l’imposta ai loro fornitori. Ciò potrebbe comportare, per alcune di loro, la richiesta di nuovi finanziamenti bancari per far fronte a tale “gap di liquidità”, oppure il ribaltamento sui loro fornitori dell’effetto esaminato, attraverso un allungamento dei tempi medi di pagamento.
In considerazione di tale criticità, propria delle imprese che operano costantemente e principalmente con la PA e che si troveranno, di conseguenza, strutturalmente a credito di IVA, la stessa “Legge di stabilità 2015” ha esteso ai soggetti fornitori in argomento l’accesso all’erogazione in via prioritaria del rimborso IVA, così come disciplinata dall’art.38-bis, c. 10, D.P.R. n. 633/72. I suddetti rimborsi verranno eseguiti, dietro richiesta fatta in sede di dichiarazione annuale, entro tre mesi dalla presentazione della stessa dichiarazione e per un ammontare non superiore a quello complessivo dell’IVA applicata alle operazioni, di cui all’art. 17-ter del decreto n. 633/72, effettuate nel periodo in cui si è avuta l’eccedenza d’imposta detraibile oggetto della richiesta di rimborso.

Fonte: Camera di Commercio di Firenze