Business e Cyber Crimine: “Un attacco ogni 11 secondi”

Le aperture digitali hanno prodotto un aumento considerevole di porte d’accesso per i cyber criminali. Oggi il cyber crimine è a tutti gli effetti un business, diventato, per i ladri, molto redditizio. Secondo uno studio condotto da Check Point Software Technologies e Dimensional Research solo negli ultimi 2 anni il 66% delle aziende intervistate ha dichiarato di aver subito almeno un attacco informatico; con una perdita media per azienda intorno ai 750 mila dollari. E la previsione per i prossimi anni lascia poco spazio all’ottimismo: si stimano circa 6 trilioni di dollari di perdite economiche derivate dagli attacchi informatici a livello mondiale.

«Nel 2021 ci sarà un attacco ransomware ogni 11 secondi. L’incremento è costante. Soprattutto nelle aziende di manufactoring, remote education e sanità». Ha spiegato al Corriere della Sera Dolman Aradori, Head of Security di NTT Data, azienda internazionale che si occupa di system integration, servizi professionali e consulenza strategica. «In realtà già negli ultimi anni e poi con un’importante accelerazione nel periodo pandemico, è cambiata radicalmente la strategia del business del cyber crimine. Oggi è la persona al centro degli attacchi, con un incremento del 50% dei malware finalizzati alla raccolta di dati personali. Il controsenso è che se da una parte aumenta il remote working (telelavoro o smart working, ndr), dall’altra sono pochissimi i corsi di formazione interni alle aziende su come svolgere il lavoro da remoto in sicurezza».

Cyber Resiliency

Una soluzione possibile di cui oggi si discute molto è la Cyber Resiliency, cioè la capacità di un sistema informatico di garantire le funzionalità di base anche se compromesso. In realtà si tratta di un concetto più ampio nel quale rientrano anche tutte quelle pratiche di sicurezza che sono in grado di anticipare, resistere, superare e adattarsi alle minacce cyber, consentendo alle aziende di focalizzare l’attenzione sulla tutela del proprio business.

Fonte: www.www.corriere.it  – Articolo di Nicolò Di Leo