Le acque derivanti dallo scarico di una comune lavatrice utilizzata da una tintoria non sono diverse da quelle provenienti dalle lavatrici delle abitazioni civili, e possono quindi essere assimilate a quelle delle attività domestiche. L’assimilabilità deve essere esclusa, invece, quando alla lavanderia siano in qualche modo riconducibili “ulteriori scarichi contenenti sostanze inquinanti” (sentenza 12470/2012).
La Suprema Corte ha così cassato la condanna inflitta in primo grado al titolare di una tintoria, per il reato di scarico non autorizzato di acque reflue industriali provenienti dall’attività di lavanderia in umido (articolo 137 del Dlgs 152/2006). Tale condotta può al massimo integrare l’illecito amministrativo previsto dallo stesso Dlgs 152/2006 (articolo 133), con riferimento agli scarichi “domestici”.
L’attività produttiva di beni e servizi svolta in un determinato esercizio commerciale non comporta infatti l’automatica attribuzione della qualifica “industriale” alle acque di scarico, che dipende sempre da natura e qualità delle stesse.