La Cassazione ha deciso, nella sentenza 25 febbraio 2013, n. 9079, che se il reato è stato commesso nell’interesse dell’Ente, il fatto che esso non abbia condotto a un risultato positivo è indifferente ai fini dell’applicazione della sanzione ex Dlgs 231/2001 (sulla responsabilità amministrativa degli Enti per reato di dipendenti e amministratori) La società ricorrente era stata condannata alla sanzione amministrativa ai sensi dell’articolo 25, Dlgs 231/2001 (reato presupposto: corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, articolo 319, Codice penale). Un suo dirigente aveva corrotto alcuni funzionari del Fisco per ottenere una conciliazione giudiziale a condizioni favorevoli per la società, ma l’Ente contestava il fatto che non vi era stato profitto illecito dato che l’accertamento fiscale si era rivelato errato e la scelta della conciliazione alla fine era stata più favorevole per l’Amministrazione. Per i Giudici se il reato è stato commesso nell’interesse della società, il fatto che la condotta criminale non abbia avuto un esito positivo apportando un vantaggio concreto per l’Ente è assolutamente indifferente ai fini della configurazione della responsabilità della persona giuridica. In parziale riforma della sentenza è stata però ridotta la sanzione pecuniaria nei confronti della società, visto che il danno patrimoniale era “di particolare tenuità” (articolo 12, Dlgs 231/2001).